
declino del calcio e del cinema italiano
Una volta eravamo grandi, invidiati, ammirati. Il cinema italiano dominava i festival internazionali, il calcio italiano dettava legge in Europa. Fellini, Antonioni, Monicelli erano il nostro cinema come Baresi, Maldini, Del Piero e Baggio erano il nostro calcio. Oggi? Oggi siamo spettatori di un lento e inesorabile declino, ingabbiati tra il ricordo di un passato glorioso e la mediocrità del presente.
Dall’epoca d’oro al lento crepuscolo
Negli anni ’50 e ’60, il cinema italiano ha ridefinito il linguaggio della settima arte. Il neorealismo di Rossellini e De Sica ha insegnato al mondo che la verità poteva essere più potente della finzione. Poi, negli anni ’60 e ’70, con Fellini e Antonioni, abbiamo plasmato un nuovo modo di raccontare. E il calcio? Stessa storia. Negli anni ’80 e ’90, il campionato italiano era il più bello del mondo. Platini, Maradona, Van Basten: tutti volevano giocare in Serie A. Le nostre squadre erano imbattibili, gli stadi pieni, le coppe venivano a casa.
Poi, la caduta. Il cinema italiano si è perso dietro a finanziamenti pubblici mal gestiti, produzioni mediocri e un’invasione hollywoodiana che non ha trovato alcuna resistenza. Il calcio ha subito la stessa sorte: impianti obsoleti, dirigenze incompetenti, mentalità arretrata. Abbiamo smesso di essere protagonisti e siamo diventati comparse.
Registi e allenatori: da Fellini e Sacchi a chi?
Se il cinema italiano non ha più generato i Fellini, gli Antonioni e i Leone, il calcio non ha più visto nascere Sacchi, Lippi o Capello. Oggi, tra il grigiore tattico e la mediocrità manageriale, l’Italia non produce più innovatori. Nel cinema ci siamo ridotti a nostalgici di un tempo che non c’è più, a riesumare il passato con operazioni commerciali che nulla aggiungono. Nel calcio, tra allenatori che copiano malamente il calcio europeo e squadre senza identità, il declino è palese.
Sorrentino e Garrone sono il nostro pallido tentativo di restare rilevanti, come Allegri e Inzaghi sono il nostro disperato ancoraggio al pragmatismo. Ma nessuno di loro è un rivoluzionario, nessuno di loro è in grado di ridare al cinema o al calcio italiano un ruolo da protagonista.
Attori e calciatori: dai divi alle figurine
Mastroianni, Gassman, Tognazzi: attori che incarnavano il genio, il carisma, la profondità. Oggi, gli attori italiani hanno perso mordente, relegati a fiction di bassa lega o a ruoli marginali nel panorama internazionale. Lo stesso vale per il calcio: da Baggio e Totti a giocatori che all’estero non lasciano il segno.
Oggi esportiamo attori di seconda fascia e calciatori che faticano a imporsi fuori dalla Serie A. Non produciamo più talenti puri, perché il sistema stesso è asfittico, incapace di coltivare il nuovo. Così come il cinema italiano è vittima di produzioni scadenti e sceneggiature vuote, il calcio italiano è vittima di settori giovanili trascurati e di dirigenti che pensano solo al bilancio.
Il paradosso degli stadi e delle sale vuote
Gli stadi italiani sono vecchi e vuoti, come lo sono le sale cinematografiche. Mentre all’estero si investe in modernità, noi restiamo legati a impianti fatiscenti, a un modello gestionale da anni ’90. L’Allianz Arena in Germania è un tempio moderno del calcio, Cinecittà è un cimitero della memoria. Gli inglesi hanno fatto del loro campionato un prodotto globale, noi siamo rimasti fermi a rimpiangere gli anni ’90.
E così come il pubblico italiano ha smesso di andare al cinema perché non trova nulla di nuovo, ha smesso di andare allo stadio perché il calcio italiano non regala più emozioni. Non è un caso se i numeri delle presenze sono ai minimi storici: il pubblico sente la mancanza del sogno, della qualità, dell’identità. Il tifoso medio di oggi è lo spettatore di Netflix: non si accontenta più delle briciole, e se il prodotto non è all’altezza, semplicemente cambia canale.
C’è ancora speranza?
Forse, ma non nel breve periodo. Il cinema italiano può ancora contare su qualche autore capace di ottenere riconoscimenti internazionali, il calcio italiano su qualche talento isolato. Ma senza una rivoluzione strutturale, senza un cambio di mentalità, resteremo ai margini. Il declino non è solo tecnico, ma culturale.
Siamo passati dall’inventare il cinema e il calcio moderno a inseguire chi lo fa meglio di noi. Siamo diventati mediocri nel raccontare storie e nel giocare a calcio. Fino a quando non avremo il coraggio di abbattere il vecchio sistema, di ripensare tutto da capo, saremo destinati a restare quello che oggi siamo: nostalgici di un’epoca d’oro che, probabilmente, non tornerà più.